I capelli, mossi dal vento, disegnano dolci arabeschi nell'aria; il viso, nobile e gentile, non può che appartenere ad una dea; la sua pelle, di un delicato colore blu puffo... BLU PUFFO??
No, non siamo daltonici (e non abbiamo le traveggole): la bellissima Venere di Botticelli, potremmo dire La Venere per eccellenza, sembra essere scesa dalla sua bella conchiglia per fiondarsi in un grande magazzino e cercare un banco di prova trucco gratuito.. forse ha trovato una truccatrice che, particolarmente invidiosa della sua bellezza, ha creato questo disastro. Non sapendo come togliersi tutta quella cipria e quella matita nera (è pur sempre una donna del Quattrocento, ignora cosa sia una crema struccante) non ha avuto altra scelta che rimettersi in posa e sperare di passare inosservata.
Nel 1984 Andy Warhol dedica una serie di serigrafie alle opere più famose del rinascimento italiano. Tra queste, la Venere di Sandro Botticelli.
Il legame che unisce Warhol al più famoso pittore del quattrocento fiorentino è molto stretto: durante la sua formazione iniziale come artista pubblicitario presso il Carnegie Institute of Technology a Pittsburgh, il futuro padre della pop art imparò a familiarizzare non solamente con la tradizione artistica europea, ma soprattutto con il valore della linea e del disegno, fondamentale per un grafico pubblicitario.
Linea e disegno, elementi costitutivi della scuola fiorentina di pittura e, in particolar modo, dell'arte di Sandro Botticelli, accompagneranno Warhol lungo tutta la sua carriera artistica: dalle prime opere realizzate a mano libera alle serigrafie pop, ottenute forzando i contrasti delle fotografie che venivano riprodotte in serie sulle tele coloratissime.
Quando riproduce la venere di Botticelli, Warhol è nel pieno della maturità artistica: ha ormai codificato la formula vincente dell'arte riproducibile serialmente, dell'arte come fenomeno di massa, come moda di massa che si consuma nel tempo.
Che senso ha, dunque, inserire in questo circolo distruttivo anche un'icona dell'arte sempiterna come la Venere degli Uffizi? Si tratta di un'operazione tesa a ribadirne la sacralità o a dissacrarla?
I soggetti delle serigrafie di Andy Warhol sono sempre appartenuti alla cultura pop, ovvero alla cultura di massa.
A partire dalla prima immagine pop, Warhol ha immortalato tutte le icone del suo tempo: Marilyn Monroe, Jackie Kennedy, le lattine di zuppa Campbell.. uomini, donne, prodotti di marca, tutto, nella società dei mass media, diventa un'icona riconoscibile immediatamente a un grande pubblico; un'icona commerciale, che si consuma come un fenomeno di moda, che si guarda abitualmente ma che non si comprende intimamente.
E le grandi opere d'arte? Riproposte dai mezzi di riproduzione visiva (fotografia, cinema, televisione) ci siamo abituati a osservarle sui libri, in tv...ma non di presenza.
La conoscenza degli artisti, addirittura di un periodo artistico, si limita a pochi dipinti famosi , e siamo talmente abituati a vederli riproposti dappertutto, stampati sulle magliette, sule borse, che pensiamo di conoscerli a memoria; ma questo è sufficiente per pensare di aver compreso l'opera d'arte?
Ma la Venere riproposta da Warhol ci stupisce: ci sembra un oltraggio a quella delicatezza cui siamo abituati, a quell'ideale di bellezza talmente perfetta da essere intangibile, e che sembra essere stata sciupata con quei colori così forti.
E tuttavia, ne riconosciamo le sembianze e forse, essa rimane per noi, nonostante tutto, la Venere di Botticelli: anche l'arte immortale, ammirata in tutto il mondo, proprio per la sua popolarità, è diventata un'icona, e quindi un fenomeno di moda.
È un'arte che viene consumata velocemente, spesso in maniera superficiale: il celeberrimo dipinto degli Uffizi è visto da centinaia di persone al giorno, spesso in condizioni pessime (il vetro protettivo crea uno sgradevole controluce che compromette la lettura dell'opera). Bastano quei cinque minuti per poter dire che la visione della nascita di Venere è stata un'esperienza estetica, un momento di incontro intenso con una cultura così tanto distante dalla nostra?
L'opera di Warhol propone dunque una riflessione sull'abitudine dell'osservatore moderno a fruire l'opera d'arte non nell'unicità della visione diretta, ma attraverso l'abitudine ad una fruizione superficiale e mediata dalle infinite riproduzioni multimediali, spesso di cattiva qualità, che ci allontana di fatto dalla comprensione dell'unicità dell'opera e delle emozioni che solo un incontro diretto con essa ci può dare.
Forse, la prossima volta che passiamo di fronte alla Nascita di Venere, varrà la pena di soffermarci cinque minuti in più, ritagliare un parte del nostro tempo dedicandolo alla visione di una delle donne più belle mai dipinte al mondo; osserveremo una nuova Venere, sconosciuta ai nostri occhi: e ci ricorderemo di Warhol, e del suo insegnamento: quando pensiamo di conoscere bene qualcosa smettiamo di osservarla: ci impossessiamo del suo aspetto superficiale, rinunciando a toccarne l'anima.
Antoniettachiara Russo