Robot che imparano il senso del bello e creano opere d’arte. Una mostra indaga le nuove potenzialità delle macchine. In grado di influenzare l’estetica del futuro
Nel 1999 Alexander McQueen stupì il mondo della moda portando in passerella due robot che spruzzavano vernice gialla e nera sull’abito della modella Shalom Harlow. Dopo alcuni minuti di furia creativa da parte delle macchine, non scevra di sensualità, la platea contemplava, attonita, il primo abito nato dal connubio artistico tra uomo e automa. «Rinunciando provocatoriamente al controllo totale sulla sua creazione, con quella leggendaria sfilata lo stilista britannico dimostrò di aver intuito quella che sarebbe diventata un’importante tendenza nel mondo del design, della musica e di altri settori creativi: la collaborazione su un piano “artistico” ed “estetico”, tra uomo e robot». Parole di Amelie Klein, curatrice di “Hello, Robot. Design between Human and Machine”, l’imponente mostra al Vitra Design Museum di Weil am Rhein, dedicata all’evoluzione della robotica e al suo impatto nella società.
«Grazie alla tecnologia del Deep learning, che simula gli schemi di apprendimento del cervello umano, le intelligenze artificiali di nuova generazione, divorando in poche ore sterminati database di libri, immagini, brani musicali, intuiscono il nostro senso di bello, di armonia, nella musica, nell’architettura, nell’arte. E creano artefatti artistici originali, che possono piacerci».
Come “Daddy’s Car”, la canzone in stile Beatles composta da un robot della Sony, o il romanzo scritto da un automa che, sotto pseudonimo, lo scorso marzo è arrivato tra i finalisti del concorso letterario giapponese Nikkei Hoshi Shinichi Literary Award. Anche il catalogo della mostra “Hello Robot” è il frutto di una collaborazione tra un robot e un grafico, che si è limitato a scegliere tra le proposte di layout fatte dalla macchina. «L’estetica del futuro, nel design, nella musica e presto anche nella moda, si annuncia ibrida, sempre più influenzata da contributi non umani. Più che una minaccia alla nostra creatività, questa nuova tecnologia andrebbe vista come uno stimolo per nutrirla, per allenarci a cambiare il punto di vista, a mettere in discussione le nostre certezze. Anche in materia di gusto».
Non ci troveremo invece a impigrirci e a delegare alla macchina anche la parte più creativa del nostro lavoro? «La creatività artificiale apre inquietanti interrogativi», dice Paul Feigelfeld, esperto di nuove tecnologie e consulente della mostra. «Manderà in tilt il mercato del lavoro? Consegnerà la società nelle mani di pochi tecnocrati? Su un piano più filosofico, l’avanzata dei robot ci obbligherà a ribaltare la nostra nozione di creatività: per secoli abbiamo pensato fosse una prerogativa umana, oggi scopriamo che può essere una qualità della materia non vivente». In fondo, cos’è quel guizzo di ingegno che genera nuove idee, se non il risultato di un potente algoritmo in grado di imparare e creare materiale originale sulla base di patterns, analogie e opposizioni, concepito per “girare” su reti di neuroni invece che su chip di silicio? E poi, quando ci piace, ci ispira e commuove, è così importante se un’opera è stata realizzata da un umano o da una macchina? vogue.it di Michele Fossi