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Moe gif che prepara acqua e zammù bibita siciliana

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moe barrista dei simspon

A Palermo l’ acqua e anice è molto più che una bibita rinfrescante, è un usanza antica , un rito che si tramanda da generazioni accompagnando la calura dei mesi estivi e conservando il ricordo del refrigerio ottenuto anche durante i mesi invernali. Non stupitevi allora se accolti in casa  di palermitani, vi venga offerto, quasi come si trattasse di una pozione magica , un bicchiere colmo di acqua  su cui galleggia una nuvoletta di anice  e vi verrà chiesto, dando per scontata la risposta affermativa “Gradite acqua e zammù ?”. Le Origini e la ricetta semplice e rinfrescante della granita all’anice. M.Za.

Sebbene per chi non è palermitano il termine zammù possa apparire inconprensibile, in realtà esso deriva da sambuco e rappresenta una antica consuetudine, che i  palermitani erano soliti offrire come digestivo, dopo pranzo accompagnandolo con la cosiddetta “mosca” ossia un chicco di caffè inserito all’interno del bicchierino.

Il beneficio che si trae dalla semplice vista, prima ancora che dall’assaggio, di quella “nuvoletta” biancastra che si crea sulla superficie di un bel bicchiere colmo di acqua gelata, è un conforto  impagabile, ben noto  ai palermitani soprattutto durante la calura estiva.

In origine questo prezioso “elisir” era ottenuto distillando semi e fiori di sambuco, detto zambuco e da qui la parola zambu e zammù e fu importato in Sicilia dagli arabi diffondendosi presto in ogni casa contandina  per correggere e disinfettare l’acqua delle cisterne e dei pozzi.

Grazie alla capillare opera dell’acquaiolo (acquavitaru) l’acqua potabile veniva resa più dissetante da questo ingrediente che la rendeva quasi una “pozione

magica” contro l’arsura delle giornate afose. Il suo arrivo era annunciato dal tipico abbannìo (grido) “acqua frisca ca è bella gilata. e s’un è frisca tirati ‘u bicchieri nn’all’aria” ovvero “acqua fresca che è bella gelata, e se non è fresca buttate il bicchiere in aria”.L’ attività dell’acquaiolo si svolgeva in tutte le stagioni, attrezzato con un piccolo deschetto di legno (tavulidda), genere di sgabello, sul quale erano posti, fermati da un cordoncino di rame i bicchieri di vetro e dei piattini di rame per accompagnare il bicchiere, un colino per il succo di limone, e perfino i lampioni per la luce della sera, che rendevano il tutto ancora  più allettante.

Il deschetto era  decorato  con i  colori vivaci, tipici dei carretti siciliani e addobbato con gli identici pendagli e nastri, al fine di rendere più piacevole  la lunga sosta dei clienti in attesa. La  brocca (quartara)  era in coccio e  aveva il vantaggio di mantenere fresca l’acqua al suo interno,  alla cui imboccatura era fissato un “cannolu” di rame per agevolare la “mescita”.

L’acquaiolo aveva il pantalone destro avvolto da un gambale di cuoio dove appoggiava la brocca per riempire il bicchiere, con gesto rituale si preoccupava di disinfettare il bordo del “gotto” (bicchiere) e vi faceva colare un filo di zammù, da lui realizzato, da un’apposita ampolla dotata di un lungo e sottile “beccuccio” ramato, eseguendo il tutto con una velocità e abilità degne di un  prestigiatore.

Andava in giro anche nei giorni festivi prediligendo i luoghi più affollati , ville e le piazze,  la passeggiata “alla marina”,  al “cassaro”, a volte poi sostava  in un luogo fisso, così nacquero i chioschi che offrivano refrigerio agli avventori alla modica cifra  di venti o  trenta centesimi.

Inizialmente si trattava di strutture  piuttosto precarie,  in un secondo tempo divennero  di  muratura e, chi  poteva permetterselo  si rivolgeva ad architetti che realizzavano progetti di in stile liberty, secondo la scuola di Ernesto Basile, massimo esponente del liberty europeo, la cui fama varcò di molto i confini dell’isola.

Ancora  oggi sparsi per la città rimangono diversi chioschi che oltre ad offrire l’acqua e zammù, smerciano ogni sorta di bibite. I loro chioschi sono sempre addobbati come una volta, incorniciati da limoni e arance.

Nel lontano 1813 all’interno di una tabaccheria ubicata nella piazza della fieravecchia, oggi piazza della rivoluzione, di proprietà della famiglia Tutone, iniziò la produzione dell’anice unico, a livello industriale, s’imbottigliò in una particolare bottiglia nella cui etichetta, di colore giallo-oro bordata di rosso, fu riprodotta l’effige della statua del vecchio genio Palermitano, dove  si sviluppò questa  tradizione veramente “geniale”. Il chiosco attiguo al locale, divenne punto di ritrovo  di gente d’ogni classe sociale, perfino dall’aristocrazia palermitana che vi si recava per dissetarsi con l’acqua e zammù.

Da allora  non esiste casa palermitana in cui nella credenza non sia conservata una bottiglia, dalle dimensioni variabili, del prezioso elisir  da bere durante i pasti, soprattutto estivi, e a fine pasto come digestivo. Il suo gusto fresco, oltre ad aiutare la digestione,  esalterà il gusto di tutte le pietanze estive tipiche della tradizione siciliana, dalla classica pasta al pomodoro e melanzane, alla parmigiana,  e di qualsiasi pietanza abbia un gusto piuttosto deciso che necessiti di essere “alleggerito” da una bibita fresca e dissetante.

Per tutti coloro che considerano incompleto un pasto estivo se non opportunamente accompagnato dall’inconfondibile gusto dell’acqua e zammù, di seguito riportiamo la facilissima ricetta della granita di anice, degna chiusura di un pranzo o una cena d’estate.

GRANITA ALL’ANICE

Ingredienti,1 litro di acqua,Anice q.b., 8 cucchiai di zucchero liquido ( per gelati o granite),Chicchi di caffè,Caffè in polvere

In un recipiente trasparente mettete l’acqua, lo zucchero e l’anice fino a che il colore diventi bianco opaco. Ponete nel freezer almeno per 6 ore avendo cura di girare di tanto in tanto la granita in modo da mantenerla morbida. Al momento di servirla, rompete con un pestello da mortaio in marmo gli eventuali pezzi più grandi , ponetela in coppe di vetro trasparente e decoratela con i chicchi di caffè. saggieassaggi.it di Manuela Zanni


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